Le fake news nella storia – L’influenza spagnola

Durante la pandemia del ‘900 si diffusero credenze particolari, come quella che bere vino rosso e fumare molto potesse contenere il virus. E l’origine del nome? Un caso fortuito.

Mercoledì 13 Maggio 2020
Simone Di Sabatino

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Fake News

Le fake news sono oggi un problema che necessita di attenzione e contromisure efficaci. Con il web infatti la circolazione delle notizie e della comunicazione viaggia a velocità record, una conquista dettata dal progresso ma quando si iniziano a diffondere bufale bisogna stare in guardia perché possono creare situazioni spiacevoli e pericolose.
Ecco che nasce “Le fake news nella storia”, una nuova rubrica del WMF che va ad indagare sulle grandi bufale che hanno influenzato il passato, approfondimento che si avvale della consulenza di Domenico Guzzo, ricercatore e storico dell’età contemporanea.

Sappiamo che la storia è costellata di quelle che oggi vengono comunemente definite fake news. Alcune realizzate scrupolosamente per screditare personaggi e teorie, altre invece create e diffusesi un po’ per caso. C’è poi chi ha inventato bufale per provocare, chi per diletto. Insomma la storia ci aiuta a comprendere e ricordare, magari scovando alcuni aneddoti rimasti sepolti per tanto tempo.

Il primo argomento della rubrica riguarda l’influenza spagnola, la pandemia accaduta un secolo fa e che ha degli interessanti parallelismi con quella che è la situazione che viviamo oggi. Durante la spagnola infatti, che ha causato circa 50 milioni di morti in tutto il mondo, vi è stata della cattiva informazione, o meglio, una condivisione involontaria di informazioni false, la misinformazione.

Domenico perché innanzitutto questo nome particolare?
Già dal nome possiamo dire ciò che hai anticipato, la misinformation che si creava attorno alla prima pandemia del ‘900. Questo nome, “spagnola”, non è globalmente riconosciuto. Per la maggior parte dei paesi europei, tra cui l’Italia, questa pandemia è stata chiamata influenza spagnola, in altre parti del mondo però ha dei nomi assolutamente diversi. Prende questo nome perché la maggior parte dei paesi europei erano impegnati nella Prima Guerra Mondiale e in tempi di guerra i giornali erano sottoposti a censura. Quindi di una vicenda così grave non si doveva parlare perché questo avrebbe demoralizzato ancora di più il fronte interno. La Spagna invece era paese neutrale, non partecipava alla guerra e sui giornali potevano liberamente documentare quanto stava avvenendo. In Italia si è venuti a sapere di ciò che succedeva grazie ai giornali spagnoli, per tale ragione quello è rimasto il nome connesso alla malattia, che è diventata l’influenza spagnola.

Quindi è stato un caso?
Assolutamente sì, tanto più che la Spagna non aveva niente a che vedere come focolaio di questa pandemia ed è molto interessante vedere come ogni stato ha dato un nome a questa pandemia a seconda di quelle che erano le credenze che si formavano nella popolazione. Quindi in Brasile viene chiamata l’influenza tedesca, in Senegal l’influenza brasiliana, in Spagna veniva chiamata “soldato di Napoli” perché si credeva che la malattia provenisse dalle trincee della Prima Guerra Mondiale e, per una serie di casistiche particolari e strane associazioni legate ad uno spettacolo che aveva una canzone napoletana che andava molto in voga in quel momento in Spagna, si è dato questo nome singolare all’influenza che noi chiamiamo spagnola.

Anche all’epoca ci furono tante notizie senza fonte che iniziarono a circolare all’interno della popolazione. Si pensava che il vino potesse essere una sorta di antidoto per l’influenza. Da dove arriva questa diceria dell’epoca?
Fu una pratica che si diffuse in particolare nel sud Italia ma anche in altri paesi, nelle comunità italo-americane degli Stati Uniti, ad esempio. C’era la credenza che bere molto vino rosso e fumare tanto potessero funzionare come deterrente rispetto alla possibilità del contagio. Questo perché si identificava questa pandemia come un “parente” della malaria. E quindi si immaginava che il veicolo dell’infezione fossero degli insetti. Il fumo in particolare e l’alto consumo di vino rosso dovevano essere per tradizione popolare dei repellenti rispetto agli insetti. Accanto a queste usanze c’era anche quella di cospargere gli ingressi delle case di acqua e calce, altra pratica che serve a creare degli odori repellenti per insetti.
Questo fa capire la mancanza di informazione che si aveva all’epoca e quindi il tentativo nelle classi meno abbienti e più sfavorite di cercare soluzioni fra gli strumenti che la tradizione offriva.

Ci furono altri falsi miti che si diffusero all’epoca?
Nell’ambito delle misinformation un altro falso mito creatosi all’epoca era che l’influenza spagnola, che generalmente attaccava le persone più giovani, colpisse  soprattutto le donne. Era un’idea molto diffusa, poi smentita solo negli ultimi decenni grazie a studi approfonditi che hanno dimostrato che in realtà erano soprattutto gli uomini ad essere colpiti.
Altro falso mito era quello che l’influenza spagnola colpisse indifferentemente classi povere e classi ricche, tant’è che in alcuni paesi europei come la Svizzera veniva chiamata come “la grande riequilibratrice” o “la capricciosa” per indicare che fosse una malattia che colpisse a caso. Anche in tal caso studi degli ultimi decenni hanno dimostrato che la mortalità e la suscettibilità era molto più marcata nelle classi più deboli e povere perché le loro condizioni igieniche erano peggiori e l’influenza spagnola era un tipo di virus che veniva favorito proprio dalle cattive condizioni igieniche.

Oggi, grazie al web, le fake news riescono a circolare in maniera estremamente più veloce del passato. Prima era più complicato ma evidentemente le bufale trovavano ugualmente terreno fertile.
Sì certo, quello che cambia rispetto all’oggi è la velocità. Ricordiamo che l’influenza spagnola è durata circa due anni, dal 1918 al 1920 con diverse ondate, in cui anche le informazioni - comprese quelle distorte - sono circolate lentamente ma comunque circolavano. Con tempistiche dilatate sono riuscite ad avere diffusione globale, creando falsi miti e autentiche bufale che hanno raggiunto anche gli angoli più reconditi del pianeta.

A livello di disinformazione quali sono state le altre notizie, le fake news, sulla spagnola?
La più importante, la vera fake news sulla spagnola riguarda la sua origine, qualcosa che ricorda molto il dibattito e le polemiche attuali. Molti stati, governi, sistemi di informazione cercarono di individuare la possibile origine di questa epidemia rimpallandosi la responsabilità. Una falsa idea che si diffuse tantissimo fu che questa malattia provenisse dalla Cina – qualcosa che ritorna - e che fosse giunta in Europa perché migliaia di lavoratori cinesi furono chiamati per aiutare il fronte alleato degli inglesi e dei francesi. I cinesi furono accusati di essere gli untori e di aver portato il virus che poi, all’interno delle trincee, si sarebbe diffuso velocemente. Alla fine prove scientifiche hanno individuato l’origine o comunque la mutazione fondamentale del virus negli Stati Uniti, sarebbe avvenuta in un campo del Kansas nel gennaio 1918.
Circolarono poi voci, costruite a tavolino, che cercavano di individuare l’origine del virus in altri luoghi del mondo. Questo è sicuramente un insieme di fake news che si sono costituite in quel periodo e che a vario titolo sono andate a colpevolizzare uno stato oppure un altro come untore del mondo, arrivando addirittura, e questa è forse la fake news più significativa,  ad accusare l’impero germanico, il grande avversario degli Stati Uniti, che a più riprese fu accusato di aver costruito un germe patogeno potentissimo e averlo diffuso quale sorta di arma batteriologica per tentare di rovesciare le sorti di una guerra che ormai per la Germania sembrava destinata alla sconfitta.

La caccia all’untore insomma è un tema ricorrente, anche soprattutto determinata dalla politica, dai fragilissimi equilibri dell’epoca.
Fragili equilibri geopolitici, sì, una modalità che rivediamo in qualche forma anche oggi per cercare di rovinare la reputazione del nemico, ideologico o politico, accusandolo di un’azione abietta, assolutamente antiumana perché diffondere un germe patogeno in grado di uccidere milioni di persone è probabilmente una delle azioni più orribili di cui si può macchiare una nazione.
I numeri dell’influenza sono molto dibattuti, in ogni caso anche se si prendono le stime più moderate siamo nell’ordine di 30-50 milioni di vittime, ma più realisticamente siamo attorno alle 80-100 milioni.

Si parla di circa 500 milioni di casi a livello globale.
Una diffusione senza precedenti, anche perché si è trovata a scoppiare in concomitanza con la Prima Guerra Mondiale, che è stata un massacro sotto tutti i punti di vista. È stata una delle più grandi bombe ecologiche che l’umanità abbia mai creato, ammassando milioni di persone ferite in trincee, con l’utilizzo delle armi più spietate che le tecnologie dell’epoca potevano offrire. Una macelleria, un carnaio di enorme portata.  E purtroppo gli ospedali da campo erano veicoli fenomenali per portare in giro questo virus già di per sé molto aggressivo.

C’è un particolare parallelismo con quanto accaduto oggi con il Covid-19. A 100 anni di distanza gli ospedali sono stati dei focolai dove numerose persone si sono contagiate, compresi medici, infermieri e personale sanitario.
La spagnola rivela moltissime analogie con l’oggi, altre possono essere le ormai molte fotografie che circolano sul web in cui si vedono grandi ospedali di fortuna e da campo, costruiti anche nelle città americane per accogliere un grande numero di contagiati, le fosse comuni per seppellire i morti, l’utilizzo delle mascherine, addirittura messe anche agli animali domestici.
Vi sono però anche grandi diversità. Aggiungo che nei primi decenni del secolo scorso era la censura che favoriva la creazione di falsi miti e bufale, che impedivano la comprensione di quello che accadeva, oggi invece forse si è nella situazione opposta, questo tipo di operazione viene fatta non più attraverso la censura ma lavorando e intervenendo dentro l’iper informazione cui siamo abituati. Anche questo è un aspetto interessante per vedere come le fake news possono evolvere nel corso di un secolo.

L’importante è imparare dal passato altrimenti ci facciamo sempre trovare impreparati. E ovviamente valutare sempre con molta attenzione le fonti dalle quali si attingono le notizie.
Il controllo delle fonti è fondamentale così come il fatto di valutare analogie e differenze con il passato. Ad esempio la spagnola è stata così drammatica sia perché le condizioni igieniche erano ridotte e segnate dalla guerra, sia perché le principali due categorie di farmaci che usiamo per proteggerci da queste tipologie di malattie, cioè gli antivirali e gli antibatterici, non erano stati ancora inventati all’epoca. Prima di lanciarsi in parallelismi tra vecchie e nuove pandemie, bisogna comunque contestualizzare e tenere in conto anche l’enorme differenziale tecnologico.

Parliamo infatti di 100 anni fa, e il ‘900 ha segnato un importantissimo progresso della medicina.
Dico questo perché una delle tante fake news che circola è quella di una sorta di ciclicità secolare che si riscontrerebbe nelle grandi pandemie, quindi la falsa idea che circa ogni 100 anni, attorno agli anni ‘20, si sia scatenata una grande pandemia partendo semplicemente dalla coincidenza 1920-2020, risalendo più indietro a una pandemia di colera del 1820, a una di peste del 1720 che in realtà non sono tali perché quelle date lì appartengono a dei lunghissimi cicli di pandemia che spesso coprivano l’intero secolo. Viene quindi scelto un anno a caso semplicemente per costruire questo modello quasi cabalistico in cui in maniera apocalittica, ogni 100 anni, arriverebbe una terribile pandemia.


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