Ripensare i territori, tra pianificazione urbana e rigenerazione

Riconsiderare i territori in un’ottica di sviluppo più organico e sostenibile è l’obiettivo al centro della ricerca sugli spazi urbani e sulle smart city, che in futuro saranno sempre più legate all’ecosistema circostante.

Mercoledì 24 Agosto 2022
Angela De Gregorio

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sostenibilità

Il modo in cui siamo abituati a concepire il territorio lo vede diviso in due sezioni: esiste la città, lo spazio urbanizzato in cui si svolgono la vita quotidiana e l’economia, e poi esiste la campagna, ad oggi una commodity da sfruttare al massimo per stabilire aree di produzione industriale e agricola, in cui dislocare impianti inquinanti e antiestetici lontani dal centro abitato, e relegare tutto ciò che architettonicamente non si confà al contesto urbano.

Allo stesso modo nel tempo la città si è trasformata: a partire dalla rivoluzione industriale ha attratto un costante flusso migratorio dai territori rurali, impoverendo questi ultimi e affollando le metropoli, che nei secoli sono diventate una stratificazione di soluzioni abitative sempre più piccole e di uffici, che ha eroso spazio adibito alle cosiddette “aree verdi urbane”, derubricate dall’architettura civile a zone sacrificate e anguste. Gli abitanti delle città aumentano, la qualità dell’aria e dell’acqua diminuisce, la gestione dei rifiuti è in più di un caso al collasso e le temperature medie si alzano.

In moltissime realtà urbane, in sintesi, le politiche e gli strumenti di pianificazione si sono rivelati insufficienti a gestire le evoluzioni e gli sviluppi socio-economici del territorio, e le ricerche più attuali in materia sembrano puntare nella stessa direzione: il modello contemporaneo di città non potrà davvero dirsi sostenibile finché resterà in vigore la sua netta separazione dallo spazio circostante.

Dalla smart city alla smart land

Attualmente la maggior parte della popolazione mondiale occupa una minima parte del suolo terrestre, fuggendo dalle aree rurali per concentrarsi e stratificarsi all’interno dei grandi conglomerati urbani. È un processo che ha radici economiche e politiche moderne, ma che si è presto rivelato insostenibile sul lungo percorso. Questa consapevolezza rende ancora più urgente ripensare gli spazi circostanti alle città e ri-immaginarli non più come periferia, area da sfruttare o zona disabitata, ma come una smart land, un centro di servizi con competenze proprie, in grado di trasformare le criticità in opportunità, di offrire soluzioni rigenerative ed eco-responsabili ai principali problemi delle aree ad elevata densità urbana: smaltimento dei rifiuti, emissioni, scomparsa di aree verdi, aumento delle temperature.

A partire dal concetto della smart city dunque, cioè di una città che grazie all’innovazione tecnologica e digitale offre alla collettività servizi e infrastrutture sempre più efficienti, ci evolveremo via via verso quello della smart land, ovvero di un territorio in cui spazi urbani e rurali saranno in grado di sfruttare le tecnologie digitali per dialogare e produrre soluzioni sostenibili di economia circolare a problemi collettivi come le risorse comuni, lo smaltimento dei rifiuti e l’approvvigionamento energetico.

Le città del prossimo futuro, insomma, saranno realtà dai confini fluidi, legate sia visivamente che economicamente alle aree circostanti, anziché in opposizione a esse. Saranno delle “città aumentate”, come le ha definite l’urbanista Maurizio Carta sul palco del WMF 2022, delle città resilienti, policentriche, fluide, capaci di praticare una economia circolare, comunicare con il territorio e ottimizzare le risorse per la collettività.

Questo è particolarmente auspicabile quando pensiamo al nostro Paese, in cui le aree rurali disseminate di piccoli borghi, soprattutto nelle zone interne lungo la dorsale appenninica, languono da decenni, svuotate e depauperate in favore della crescita della costa e delle città. Fino a che continueremo a concepire le aree rurali come sacrificabili e come risorse accessorie da sfruttare per migliorare le città, i progressi non saranno risolutivi.

 

 

La risposta potrebbe nascondersi tra innovazione e passato

È da questa riflessione che ha preso vita un ambizioso progetto rigenerativo, nella provincia pavese della Pianura Padana, volto a ripristinare il suo aspetto antecedente all’avvento dell’agricoltura intensiva.

A dare vita al progetto è Simbiosi, una realtà italiana che nel corso di 30 anni ha lavorato per trasformare un’area di 500 ettari di Pianura Padana adibita a “deserto agricolo”, riportandola letteralmente indietro nel tempo, alle sue caratteristiche territoriali di 1000 anni fa. 

Grazie alla collaborazione con università italiane ed europee, Simbiosi ha lavorato inizialmente per ricostruire le precedenti condizioni del suolo e della biodiversità, completamente distrutte dall’agricoltura intensiva, e poi per studiare come ripristinarle in un’area pesantemente modificata dall’uomo: il risultato è stato strabiliante. Dopo aver recuperato il suolo, piantumando e innestando specie vegetali scomparse da secoli, successivamente lasciate allo stato autonomo, è successo ciò che non era stato previsto: specie animali sparite ormai da decenni dall’area sono tornate spontaneamente a riabitarla.

L’intera operazione è stata condotta senza l’utilizzo di pesticidi o agenti inquinanti, ma semplicemente con l’uso di tecniche tradizionali miscelate a nuove tecnologie agricole, in un mix che prende il nome di metodo “neorurale”.

Non si tratta solo di un progetto sperimentale, ma anche di una realtà agricola: il territorio gestito da Simbiosi infatti produce per il mercato agroalimentare avvalendosi di tecniche di  coltivazione rispettose dei ritmi e dell’interazione tra campo coltivato e territorio circostante, e che riconoscono nell’ecosistema una risorsa preziosa anziché una minaccia. Questa produzione agricola avviene tramite l’utilizzo di energie rinnovabili e senza pesticidi o veleni, classificando a tutti gli effetti il prodotto finale come biologico.

In questo ecosistema anche i sottoprodotti diventano preziosi, in perfetto stile blue economy: un’economia circolare in cui tutto ha un utilizzo e nulla viene classificato come “scarto”. I cosiddetti rifiuti di lavorazione vengono infatti utilizzati per la produzione di biogas (metano) e di fertilizzanti naturali per il terreno.

Il progetto di Simbiosi si inserisce nella conversazione invitandoci a rivalutare il moderno dualismo tra città e campagna, a concepire gli spazi rurali non più come aree da sfruttare tramite l’agricoltura intensiva, ma come delle smart land parte integrante della vita urbana, in virtù delle opportunità che offrono in termini di soluzioni, miglioramento della qualità della vita e approvvigionamento di risorse.

Il vecchio adagio che dice di non guardarsi mai indietro, viene qui capovolto: l’esperienza di Simbiosi sembra suggerirci che è letteralmente tornando indietro di 1000 anni, recuperando nozioni, tecniche e conoscenze a lungo scomparse, che possiamo muoverci verso un futuro che sappia realmente confrontarsi con le sfide ambientali e sociali più urgenti.


Fonti
Smart land: cos’è e perché è importante per l’Italia

Progetto Simbiosi

Il ruolo degli spazi rurali per lo sviluppo sostenibile delle città

La società che ha portato un pezzo di Pianura padana indietro di mille anni - Wired


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