Il costo ambientale degli NFT

Chi si approccia alla realtà degli NFT sarebbe portato a pensare che si tratti di beni a impatto zero sull’ambiente, poiché completamente dematerializzati. La verità è diversa: NFT e criptovalute si trovano al centro di una polemica mondiale per le elevate emissioni di CO2 che genererebbe il loro corretto funzionamento. Ma qualcosa potrebbe cambiare presto.

Venerdì 2 Settembre 2022
Angela De Gregorio

linkedin

Gli NFT rappresentano una potenzialità nata relativamente da poco, con cui il mondo sta prendendo le misure di volta in volta e di cui probabilmente si parlerà molto nel prossimo futuro. Ma il loro arrivo non è privo di controversie. NFT sta per non-fungible token, ovvero una sorta di “gettone” virtuale, dematerializzato e univoco, di proprietà di chi lo acquista. Può essere in sé un’opera d’arte, un biglietto di accesso ad un evento o a contenuti esclusivi, o anche solo un tweet: insomma le potenziali applicazioni degli NFT sono infinite, e possono essere sia legate a oggetti ed eventi materiali, sia a commodities esclusivamente virtuali. Moltissimi brand, aziende, personalità, artisti hanno prodotto e venduto i propri NFT a prezzi, soprattutto in caso di visual artists, spesso altissimi. Alti quanto? La casa d’aste Christies ha battuto un’opera virtuale per 69 milioni di dollari. Compratori e venditori aumentano, il buzz non si arresta e molti stanno dell’artista Beeple afacendo la propria fortuna economica in questo settore.

Mining e dispendio energetico

Vediamo rapidamente il loro funzionamento. Gli NFT vengono generati su una blockchain, principalmente quella appartenente alla piattaforma Ethereum che ad oggi funziona tramite un sistema di convalida proof of work. Questa modalità di creazione fa sì che ogni NFT abbia dei metadati unici e non replicabili, che non esistano in sintesi due NFT uguali, e che il loro acquisto venga considerato una transazione sicura, transazione che avviene esclusivamente attraverso l’uso di criptovalute, tra cui appunto le più famose e redditizie sono al momento Ethereum e Bitcoin.

Per generare un NFT e far sì che le transazioni convalidate sulla blockchain siano sicure, per i sistemi che funzionano tramite proof of work è necessaria un’operazione costante detta mining: si tratta di un meccanismo che mantiene “al sicuro” da eventuali danni o falsificatori tutte le transazioni su una determinata blockchain, e consiste nella risoluzione di complessi problemi matematici grazie all’utilizzo di computer molto potenti. Questo processo fa sì che la transazione sia convalidata sulla blockchain, e allo stesso tempo generi una criptovaluta come “ricompensa” per chi ha “minato”. Il lato negativo del processo di mining, però, sarebbe che a detta di molti richiederebbe una quantità di energia altissima e un flusso continuo per funzionare, oltre a computer potenti e sofisticati che a quanto pare emetterebbero un’impronta di carbonio esorbitante. Esorbitante quanto? Se Ethereum e Bitcoin fossero un Paese, consumerebbe in un anno più energia dell’Indonesia.

Se così fosse, questo significherebbe che acquistare o vendere un NFT sulla piattaforma Ethereum, contribuirebbe indirettamente a un enorme impatto sull’ambiente.

Ma la narrazione non è così lineare. Secondo altre fonti, invece, questa informazione sarebbe scorretta e parte di un'operazione di screditamento delle criptovalute ad opera dell'establishment e delle banche mondiali. Secondo queste fonti, il consumo annuo del mining di bitcoin sarebbe attorno allo 0,8% del consumo energetico mondiale. Non solo, secondo questa teoria il mining potrebbe anche contribuire a dare la spinta definitiva a una transizione energetica mondiale verso fonti rinnovabili. 

Possibili cambiamenti all’orizzonte?

Un’azione contenitiva per queste emissioni sarebbe quella di utilizzare solo energie da fonti rinnovabili per l’attività di mining e per la sussistenza della blockchain. Se la maggior parte delle attività di mining venissero svolte tramite l’uso di energie pulite, le emissioni diminuirebbero, ma resterebbe invariata la spinta energivora di questo processo.

Ma qualcosa potrebbe cambiare presto: la piattaforma pubblica Ethereum ha appena rilasciato una comunicazione annunciando un’operazione a lungo anticipata e molto attesa dalla community, ovvero l’imminente passaggio dall’algoritmo di convalida proof of work al sistema proof of stake, che non utilizza il mining per convalidare le transazioni, eliminando alla radice il problema dei consumi elevati. Vale la pena ricordare che esistono criptovalute considerate sostenibili già in partenza, poiché da sempre generano NFT direttamente tramite algoritmo proof of stake, come ad esempio le più recenti Tezos e Solana.

La conversazione attorno agli NFT è ancora in piena evoluzione, e nei prossimi giorni ne sapremo di più. Quel che è certo è che non abbiamo ancora assistito al dispiegarsi di tutte le potenzialità che portano con sé.

Fonte

https://digiconomist.net/ethereum-energy-consumption
https://ccaf.io/cbeci/index
https://www.bitrawr.com/mining/bitcoin-energy-consumption-debunked
https://www.woodmac.com/news/opinion/how-bitcoin-mining-can-support-the-energy-transition/


linkedin