Macchine senzienti: futuro o fantascienza?

Tra filosofia, scienza e informatica, l’intervento di Federico Faggin sul Mainstage del WMF indaga le convergenze tra computer e cervello umano, ma soprattutto le loro differenze. Può una macchina avere una coscienza propria?

Mercoledì 20 Luglio 2022
Simone Di Sabatino

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intelligenza artificiale

I quesiti che l’uomo da sempre si pone, le domande esistenziali che riguardano il senso della vita o la natura dei sentimenti, non hanno ancora trovato una risposta univoca. Tra questi, uno in particolare è stato oggetto di ricerca sin dagli albori della filosofia, e continua a esserlo oggi, in un’epoca in cui innovazione e progresso scandiscono il tempo: che cos’è la coscienza? 
A questa domanda ne segue subito una seconda, che apre le porte a infinite implicazioni: può un computer possedere una coscienza propria?

Sul Mainstage del WMF Cosmano Lombardo, ideatore del festival e CEO di Search On Media Group, ha rivolto questa domanda coraggiosa direttamente a Federico Faggin, ingegnere fisico e vero e proprio mostro sacro dell’informatica, un orgoglio italiano nel mondo: l’inventore del microprocessore che ha posto le basi per la nascita dei computer come li conosciamo, ma anche della tecnologia necessaria per glismartphone e per lo sviluppo del world wide web. Insieme a Federico Faggin abbiamo fatto un’immersione in quel luogo liminale all’intersezione tra filosofia, tecnologia e scienza, ragionando su ciò che ci rende umani.

Il mistero originario della coscienza

La rivoluzionaria ricerca di Fagginruota intorno a ciò che ci rende umani, ovverola nostra coscienza, che è formata da tutti i nostri pensieri, dal nostro istinto, dalla nostra forza creativa e dalle nostre emozioni: cervello, cuore e pancia. La scienza ha sempre indietreggiato davanti a questo interrogativo, sia perché storicamente questo è appannaggio della ricerca filosofica, mentre la scienza si dedica a ciò che è visibile e materiale, sia perché non ritiene di avere gli strumenti necessari a questa indagine, dando per assunto che sia la coscienza a originarsi dalla materia e non viceversa. Ma i progressi degli ultimi decenni nel campo delle neuroscienze ridefiniscono i confini di questo mistero: ci dicono che il nostro cervello risponde fisicamente agli stimoli emotivi con processi elettro-chimici. Ciò che ancora non sanno spiegare è perché e in che modo siamo coscienti: da dove viene, cioè, la nostra coscienza?

Macchine senzienti: una visione lunga secoli

Sin dai tempi più antichi l’uomo ha cercato di costruire delle macchine a propria immagine, dal primo automa di fattezze umane risalente al III secolo d.C fino all’Automa Cavaliere progettato da Leonardo Da Vinci. Se prima si poneva l’accento sulla somiglianza esteriore, oggi con gli strumenti tecnologici e informatici a nostra disposizione ci sfidiamo a produrre una macchina con un “cervello” somigliante a quello umano.

Federico Faggin ci racconta delle sue ricerche e dei suoi lunghi studi di fisica e informatica, sottolineando come il progresso dell’intelligenza artificiale negli ultimi dieci anni sia stato talmente esponenziale da aver fatto ritenere a molti che presto questa potrebbe arrivare a sostituire l’intelligenza umana. Può un algoritmo, costruito dall’uomo e affidato alla macchina, si chiede sul palco, trasformarsi indipendentemente da noi e acquisire una sua propria coscienza, unica e irripetibile?

In questo intervento di enorme valore non solo scientifico, ma anche antropologico e sociale, Federico Faggin ci guida passo per passo a comprendere come mai non saremo mai in grado di costruire una macchina che abbia una coscienza unica. Per quanto i computer ritengano una capacità di calcolo infinitamente superiore a quella del cervello umano, ciò che non avranno mai è la qualità umana del libero arbitrio: non possono scegliere, cioè, di agire discostandosi dall’algoritmo con cui sono stati programmati, ignorando deliberatamente i dati che hanno immagazzinato.

La macchina non ha e non potrà mai avere un suo potere creativo, di immaginazione. Non possiede quella scintilla di divino irreplicabile, che è ciò che, in definitiva, ci rende umani.


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