Ucraina: un conflitto fatto di propaganda e ritorno al passato

Per scongiurare che vecchi schemi e stereotipi tornino a ripetersi nuovamente con tutto il loro carico di morte e distruzione, occorre ripensare le nostre società a cominciare dal dialogo e la cooperazione. Il pensiero di Rondine.

Giovedì 3 Marzo 2022

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Innovazione Sociale

Ormai da diversi giorni non facciamo altro che sentire e leggere notizie angoscianti provenienti dall’Ucraina. È inutile girarci intorno: la guerra ci ha colti di sorpresa. Ben pochi di noi si sarebbero aspettati che dalle parole si passasse ai fatti, che le parti in causa abbandonassero il tavolo della diplomazia internazionale, per far tacere gli ammonimenti e lasciar deflagrare le bombe.

Noi di Search On Media Group abbiamo provato allora a promuovere il dialogo e per farlo ci siamo messi in contatto nuovamente con il professor Franco Vaccari, psicologo ed accademico, nonché Presidente di “Rondine. Cittadella della Pace”, una comunità che – all’interno di un borgo medievale toscano a pochi chilometri da Arezzo – accoglie giovani provenienti da paesi teatro di conflitti armati o post-conflitti e li aiuta a scoprire la persona nel proprio nemico, attraverso il lavoro difficile e sorprendente della convivenza quotidiana.

Proprio la più che ventennale esperienza di Rondine ci insegna che «tutti siamo “portatori sani” di nemico, anche prima che arrivino le armi e che ogni guerra diventa possibile proprio perché lentamente si è costruito il nemico. Una costruzione malata, perversa, che avvelena le società cominciando dalle relazioni e porta alla disumanizzazione», come ha spiegato Vaccari.

Per scongiurare dunque che vecchi schemi e stereotipi, imbevuti della politica dell’odio novecentesca, tornino a ripetersi nuovamente con tutto il loro carico di morte e distruzione, occorre pertanto ripensare, rifondare, le nostre società a cominciare dal loro nucleo più piccolo, ovvero le famiglie. «Serve un paradigma nuovo, una pace capace di nascere e rinascere tutti i giorni dai conflitti quotidiani della nostra vita, quelli tra persone che si consumano in famiglia, in ufficio, nelle periferie, tra le generazioni, siamo continuamente invasi dal conflitto e non siamo attrezzati per vederlo in modo nuovo, serve trasformarlo quotidianamente».

In effetti, se ci fermiamo a pensare un attimo, le nostre vite sono quotidianamente pervase dal conflitto. Conflitti in famiglia, conflitti in ufficio, conflitti nel condominio e nel quartiere, anche nello sport, troppo spesso, l’agonismo e la sana rivalità hanno ceduto il passo al conflitto. L’unica risposta che però siamo in grado di fornire al conflitto che ci circonda è ripiegarci su noi stessi, tramutarci in una sorta di monadi senza porte e finestre; anzi, una sola finestra l’abbiamo ed è quella da cui ci affacciamo sull’universo social. «Le piazze di oggi sono i social network, chiamano a raccolta in modo diverso, in modo molto più emotivo, che velocemente aggrega e velocemente passa. Bisogna imparare a confrontarsi con le differenze perché siamo tutti diversi, mentre invece siamo abituati a stare solo con chi la pensa come noi, reclusi nelle nostre tribù della società moderna» ha ribadito il presidente di Rondine.«E’ necessario accogliere la vita con le sue paure, le sue angosce, le sue fragilità, accogliere chi non si sente all’altezza e chi è schiacciato dalla performance, che è diventata la cifra dominante e che produce persone che si sentono inadeguate e quindi rischiano di diventare scarti. La pandemia ha accentuato i conflitti, i conflitti vecchi si sommano a quelli nuovi. Viviamo un periodo di smarrimento generale dovuto al virus che ha amplificato i disorientamenti e le fratture della globalizzazione».

Forse è anche per questa disabitudine a guardarci intorno, ad alzare lo sguardo, che i nostri occhi, di padri e figli nati nella società del benessere, non sono stati in grado di scorgere il volto della guerra, una volta che questo ha iniziato sinistramente ad approssimarsi all’orizzonte. «Noi europei ci eravamo abituati all’idea che la guerra non avrebbe più flagellato i nostri territori. Abbiamo messo la guerra in un museo ed abbiamo pensato in maniera superficiale che la guerra non avrebbe più avuto voglia di uscirne; ed invece eccola qui. E questa volta la guerra è nel cuore dell’Europa. Perché Kiev è cuore dell’Europa. L’Europa negli ultimi anni ha lasciato intendere che la pace è scontata, invece la pace deve essere una conquista quotidiana» ha affermato Vaccari.  

“Dietro ogni problema, c’è una opportunità”, diceva Galileo Galilei. Assiomaticamente dunque potremmo sostenere che anche “Dietro ogni conflitto, c’è una opportunità”. Ogni nuovo conflitto, che sia vicino o lontano da noi, ci fornisce immancabilmente nuovi e vecchi motivi affinché le cose cambino e quello sia davvero l’ultimo atto di barbarie che abbia a consumarsi sulla Terra. «A Rondine in questi anni, abbiamo cercato risposte differenti insieme ai giovani dello studentato internazionale per non restare paralizzati dal dolore, non cedere alla rabbia, non ripiegare nell’indifferenza o nel cinismo. Qui abbiamo deciso di camminare per una strada nuova che esce dalla logica del nemico e ricuce le relazioni a partire dalla condivisione del dolore».

Eppure fino ad oggi non siamo stati in grado di cogliere questa opportunità; ed anzi ci ritroviamo alle prese con una nuova guerra. Serve allora una riscoperta dell’immenso valore del dialogo, una vera educazione all’inclusione, una cittadinanza proattiva che operi dal basso e che sia pungolo continuo per le istituzioni affinché queste adempiano nella maniera corretta alle responsabilità civili, politiche ed ambientali a cui sono chiamate. Ognuno di noi è dunque chiamato a fare la propria parte, in quanto l’Ambiente, la Libertà e la Pace sono doni che si possono sì ereditare, ma che abbiamo l’obbligo di lasciare anche alle future generazioni.


«La guerra è una realtà, disumana e inaccettabile. La guerra non è mai una risposta ad un conflitto, è un male assoluto. Oggi non possiamo permetterci di pensare che non ci riguardi» le parole del professor Vaccari. A fargli da eco alcuni degli studenti dello studentato internazionale di Rondine: «Non voglio credere che la storia si ripeterà sempre. È un'idea demoralizzante […] Io vengo dalla Bosnia Herzegovina e […] prego e supplico che il destino di Sarajevo non diventi quello di Kiev e dell'Ucraina» ha spiegato Dunya. «È compito nostro seminare oggi per vedere germogli domani e dare frutti alle generazioni future. Perché un solo uomo di fronte ad un carro armato forse non può fermare una guerra, ma un’intera comunità che urla il suo no pensiamo possa farlo» ha ribadito Sofia.

Diciamo no alla guerra. Sempre e comunque.

 


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