Cambiamenti climatici: “Dobbiamo assolutamente accelerare gli sforzi”. Intervista a Gianni Silvestrini

In occasione dell’anniversario del Protocollo di Kyoto, redatto l’11 dicembre 1997, abbiamo intervistato Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club. “Dovremo adattarci a un contesto caratterizzato da bombe d’acqua e uragani, da siccità e onde di calore”.

Martedì 10 Dicembre 2019
Simone Di Sabatino

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sostenibilità

L’11 dicembre 1997, esattamente 22 anni fa, è stato redatto il Protocollo di Kyoto, trattato ambientale che ha l’obiettivo di contrastare il riscaldamento globale. Sono 192 i paesi che ad oggi hanno aderito e ratificato il protocollo, entrato in vigore il 16 febbraio 2005. Ora, a 22 anni da quel giorno storico, abbiamo voluto fare il punto della situazione con Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club.


Gli effetti dei cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi anni il nostro Pianeta ha assistito a un rapido e violento mutare delle condizioni climatiche che hanno portato allo scatenarsi di eventi calamitosi come uragani, bombe d’acqua, stati di siccità e ondate di calore. Solo in Italia, nell’ultimo anno, abbiamo assistito a numerosi smottamenti e frane al nord, la strage di abeti in Val di Fiemme, trombe d’aria marine ed eventi climatici preoccupanti, generalmente inconsueti per le nostre latitudini. Qualche settimana fa è stata la volta dell’acqua alta a Venezia, per non parlare degli eventi catastrofici registrati nel mondo come gli incendi avvenuti in Australia e California il mese scorso, o in Siberia e in Brasile durante l’estate. La situazione appare piuttosto grave soprattutto perché non sappiamo bene cosa ci riserverà il futuro.


Il global warming è un problema gravoso e la comunità internazionale ha il dovere di tentare di risolvere al più presto la situazione. Proprio in questi giorni, a Madrid, si sta tenendo la Cop25, la conferenza ONU sui cambiamenti climatici, alla presenza di 196 paesi. Si tratta del nuovo meeting delle Nazioni Unite che mira a fare il punto della situazione sugli Accordi di Parigi del 2015, trattato che ha stabilito la riduzione delle emissioni di gas serra. La strada appare ancora in salita ma gli obiettivi per salvaguardare il nostro Pianeta sono comuni.


Per capire meglio la situazione attuale abbiamo chiesto a Gianni Silvestrini un parere riguardo alcune delle tematiche ambientali e un commento sui recenti fatti di cronaca che occupano le colonne dei giornali.


L’11 dicembre 1997, esattamente 22 anni fa, veniva redatto il Protocollo di Kyoto. Ma negli ultimi 40-50 anni abbiamo fatto molto poco per l’ambiente e non siamo riusciti a fronteggiare un problema noto da tempo. Perché il tema del rispetto dell’ambiente non è stato affrontato con maggiore attenzione nel dopoguerra? Perché solo oggi si parla di salvaguardia dell’ambiente, solo perché abbiamo sotto gli occhi gli effetti dei cambiamenti climatici?


In realtà qualcosa si è fatto. Ad esempio, l’Europa ha adottato nel 2001 una Direttiva sulla generazione elettrica da rinnovabili che ha favorito la rapida crescita del fotovoltaico e dell’eolico. E in parallelo anche il Giappone aveva incentivato per il solare. Si sono così create le condizioni per una produzione su larga scala di queste tecnologie consentendo una rapida riduzione dei costi. Oggi il prezzo di un modulo fotovoltaico è dieci volte inferiore rispetto a dieci anni fa e questo consente di prevedere una larga diffusione delle rinnovabili e quindi della eliminazione dei combustibili fossili.
Detto questo, sicuramente si è fatto troppo poco rispetto ad una crisi climatica che ha visto una decisa accelerazione. Ed è proprio l’accelerazione dei fenomeni estremi, il cambiamento visibile delle temperature e il ritiro dei ghiacciai a preoccupare la popolazione, a sollecitare i governi ad agire.


Pochi giorni fa il segretario ONU Antonio Guterres ha detto, all’apertura del Cop25 a Madrid: "Per fermare il riscaldamento globale in atto sforzi totalmente insufficienti”, e "Il mondo deve scegliere tra speranza e capitolazione". Abbiamo tempo per risolvere la questione o possiamo solo limitare i danni?


Siamo in effetti di fronte ad un bivio drammatico. Se non interverremo per ridurre drasticamente le emissioni rischiamo un esito catastrofico ed irreversibile. Ma ricordiamo che un cambiamento del clima è ineluttabile e dovremo comunque adattarci a un contesto caratterizzato da bombe d’acqua e uragani, da siccità e onde di calore. Naturalmente tra i due scenari c’è una enorme differenza, e lo sanno i milioni di giovani e giovanissimi che manifestano perché capiscono che il loro futuro è a rischio.


Quali sono le nazioni che sono più distanti dagli obiettivi concordati?


Durante le conferenze per il clima delle Nazioni Unite, le annuali Conferences Of the Parties o Cop che durano un paio di settimane, ogni giorno gli ambientalisti eleggono un “Fossil of the Day”. Quest’anno alla Cop25 che si svolge a Madrid sono stati messi alla berlina diversi paesi. L’Australia, che malgrado i 6.000 chilometri quadrati andati a fuoco in poche settimane, ha un primo ministro, Scott Morrison, che minimizza sul ruolo del cambiamento climatico e punta sul carbone. E naturalmente anche il Brasile, che sotto il presidente negazionista Bolsonaro, ha visto un aumento degli incendi e dei processi di deforestazione. Ma anche il Giappone che è tornato a puntare sul carbone e la Polonia il cui presidente, Andrzej Duda, ha affermato che il suo paese potrà usare il carbone per altri 200 anni.


Nel 2018 in Italia si è registrato l’anno più caldo di sempre. Guterres ha inoltre affermato che, a livello globale, “Gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati. Le conseguenze si stanno già avvertendo sotto forma di eventi meteorologici più estremi e catastrofi associate, dagli uragani alla siccità, dalle inondazioni agli incendi. Le calotte polari si stanno sciogliendo. Nella sola Groenlandia, a luglio si sono sciolti 179 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Il permafrost nell'Artico si sta scongelando 70 anni prima delle proiezioni". Nei prossimi anni dobbiamo aspettarci sempre più eventi climatici catastrofici?


L’evoluzione futura dipenderà molto dalla nostra capacità di invertire a partire dal prossimo decennio l’andamento delle emissioni. Dovremo sicuramente adattarci a fenomeni estremi, ma la vera sfida è quella di evitare una brusca accelerazione climatica. In un recente articolo “Trajectories of the Earth System in the Anthropocene” scritto da autorevoli scienziati, si sottolinea la possibilità concreta che i meccanismi di retroazione positiva (permafrost, oceani, Amazzonia) facciano precipitare il nostro pianeta in una situazione mai vissuta negli ultimi 1,2 milioni di anni, rendendo impossibile la sopravvivenza umana.


Donald Trump non crede nel global warming e negli allarmi lanciati dagli scienziati, sostiene siano bufale. Eppure gli Stati Uniti, dal dopoguerra, sono il luogo dove è stato creato il maggior sapere sui cambiamenti climatici attraverso la ricerca. Perché esiste il negazionismo climatico?

Principalmente per l’incisiva campagna orchestrata dalle potenti lobbies che si sentono minacciate dalla fuoriuscita dai combustibili fossili, a partire dalle Majors del petrolio e del gas. L’attività dei “Mercanti di dubbi”, dal titolo di un interessante libro che descrive i tentativi di negare in passato i rischi del fumo e poi quelli climatici, prosegue ancora oggi. Secondo un’analisi di Influence Map, per contrastare l’azione climatica sono stati investiti ben 200 milioni di dollari l’anno da parte di ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, BP e Total. E questo, dopo l’Accordo sul clima di Parigi del 2015! Proprio in queste settimane la Exxon è sotto processo al tribunale di New York con l’accusa di avere minimizzato le conseguenze dei cambiamenti climatici nei confronti dei propri azionisti.
Di fronte alle evidenze sempre più nette sottolineate dalla comunità scientifica, seminare incertezze, proprio oggi quando si dovrebbe accelerare, è un delitto. Ed è significativo il fatto che importanti media, come BBC e The Guardian, abbiano deciso di non dare più spazio ai negazionisti. Purtroppo non è così su alcuni media italiani che vedono spargere menzogne sul clima.

 

Dovremmo raggiungere la neutralità delle emissioni di CO2 entro il 2050 e ridurre del 45% le emissioni di gas serra entro il 2030. Guterres ha detto che “Ciò che manca ancora è la volontà politica". Quanto tempo abbiamo affinché le politiche intervengano effettivamente sul problema dei global warming?


Quello che riuscirà a fare questa generazione determinerà il destino delle centinaia di future generazioni. Quindi, certo, il fattore tempo è decisivo. Sul fronte delle istituzioni abbiamo esempi di paesi che interpretano correttamente la necessità di accelerare. Per esempio, venerdì 6 dicembre il Parlamento della Danimarca ha approvato una nuova ambiziosa legge sul clima che punta a ridurre entro il 2030 del 70% le emissioni climalteranti rispetto ai livelli del 1990.  
Una decisione che fa riflettere sulla poca ambiziosità ("una minestra insipida" è stato il mio primo commento su www.qualenergia.it) della proposta italiana inviata a Bruxelles a gennaio che si limita ad una riduzione del 37%.  


L’ultima volta che l’anidride carbonica ha raggiunto un livello globale medio di oltre 400 parti per milione è stata tra 3 e 5 milioni di anni fa, quando la temperatura era di 2-3 gradi Celsius maggiore e il livello dei mari dai 10 ai 20 metri più alto di oggi. Ci dobbiamo aspettare un quadro così apocalittico per il futuro?


Gli scenari più pessimistici presi in considerazione dall’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sostengono che la concentrazione di CO2 potrebbe passare dalle attuali 410 parti per milione (ppm) a 2.000 ppm nel 2250. Questo scenario apocalittico è però molto improbabile perché le politiche di contenimento delle emissioni adottate da diversi paesi fanno ritenere che la concentrazione si potrebbe fermare a livelli poco superiori ai 450 ppm. L’Accordo di Parigi sul clima punta infatti ad uno sforzo congiunto in grado di evitare un aumento di 2 °C, possibilmente di 1,5 °C, rispetto al periodo preindustriale.  Considerando che siamo già a 1,1 °C in più, è evidente l’urgenza per una drastica riduzione delle emissioni.  Al momento però, gli impegni assunti fanno ritenere che l’aumento di temperatura si collocherà poco sotto i 3 °C. Insomma, dobbiamo assolutamente accelerare gli sforzi.

 

Come dobbiamo cambiare il nostro stile di vita?


Le “disruptive technologies” come il fotovoltaico e l’auto elettrica saranno fondamentali per ridurre le emissioni. Ma non dobbiamo farci illusioni che le tecnologie possano bastare. Dobbiamo rivedere i nostri stili di vita. Dall’alimentazione, riducendo il consumo di carne, responsabile di una grande quantità di emissioni, alla mobilità, privilegiando l’uso dei mezzi pubblici, del car sharing e della bicicletta. Ma soprattutto con uno stile di vita più sobrio liberandoci dall’ossessione di continui acquisti, che significano lavorazioni, trasporti, emissioni. Ma è lo stesso modello economico, che si base sulla crescita continua dei consumi, a dover essere rivisto. Come ha detto l’economista inglese Tim Jackson dovremmo puntare ad un sistema che consenta una “Prosperità senza crescita”, come recita il titolo di un suo libro.


La transizione alla green economy è la strada giusta in termini di impatto economico e sociale?


La decisione di puntare sulle tecnologie green e di applicare la filosofia dell’economia circolare nel mondo della produzione può consentire notevoli riduzioni degli impatti ambientali ed un deciso aumento dell’occupazione. Innumerevoli studi, ad iniziare da quelli di Irena e della Ellen MacArthur Foundation, evidenziano le significative potenzialità di questi approcci. Naturalmente la transizione va guidata per minimizzare gli impatti negativi (pensiamo al mondo dell’auto). Ma chi saprà più rapidamente cogliere l’onda godrà dei vantaggi legati al cambio di paradigma, chi si attarda nel percorso subirà conseguenze negative.


Il movimento Fridays For Future e la sua icona Greta Thunberg hanno guadagnato in pochi mesi la ribalta nelle cronache di tutto il mondo. Crede che questo possa essere sufficiente a invertire la rotta?

 

È difficile sottovalutare l’importanza che hanno acquisito Greta e Il movimento Fridays For Future. Se l’Europa e la Nuova Zelanda hanno deciso di dichiarare lo “Stato di emergenza climatica” e di darsi l’obbiettivo “carbon neutral” al 2050 è anche grazie alla sollecitazione dei milioni di giovani che hanno manifestato negli scorsi mesi in tutto il mondo. Naturalmente la pressione dovrà continuare perché la maggioranza dei paesi, Italia inclusa, sono assolutamente timidi e poco incisivi rispetto alla sfida del clima.


Quale può essere il ruolo del digitale per avere un mondo più sostenibile?

 

L’onda digitale e quella ambientale saranno due potenti drivers dell’evoluzione delle nostre società nei prossimi anni e decenni. E’ interessante come l’interazione tra queste due variabili sia generalmente positiva. Il contributo delle tecnologie digitali sarà infatti sempre più importante sia sul versante ambientale e nello specifico per contrastare il riscaldamento globale. Naturalmente va anche considerata la ricaduta negativa in termini di emissioni di CO2 (dell’ordine del 2-3% sulle emissioni globali, con un peso rilevante legato al funzionamento dei server) e delle possibili controindicazioni di carattere sociale, come il micro-targeting facilitato da algoritmi di intelligenza artificiale che consente di proporre offerte sempre più tarate sui nostri desideri.
Tra le tante valutazioni effettuate sull’efficacia nel contenimento delle emissioni climalteranti, facciamo riferimento allo studio presentato quest’anno al World Economic Forum di Davos  che analizza il possibile contributo nell’ottimizzare i consumi energetici nell’industria, nell’agricoltura nei trasporti, negli edifici, oltre che nella gestione delle fonti rinnovabili. Secondo questa analisi le tecnologie digitali potrebbero consentire di ridurre del 15% le emissioni globali al 2030, dando cioè un contributo fondamentale agli obbiettivi che i vari paesi si sono dati.
Internet of Things, intelligenza artificiale, 5G potranno svolgere un ruolo molto incisivo in una infinità di opzioni che vanno dalla guida autonoma delle auto, alla riduzione dei consumi energetici degli edifici, alla gestione delle Comunità Energetiche. Proprio su questa soluzione, prevista dalla Direttiva europea sulle rinnovabili, e che vedrà un’ampia diffusione nel prossimo decennio, è stato appena finanziato un progetto che vede capofila la società Exalto. Il cuore della ricerca BloRin consiste nella realizzazione di una piattaforma da testare nelle isole di Lampedusa e Favignana per gestire gli scambi di energia prodotta con le fonti rinnovabili tra diversi utenti e quelli tra le auto elettriche e la rete, utilizzando la tecnologia Blockchain per certificare i flussi.


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