In occasione dell’AI Festival, organizzato da WMF - We Make Future e che si è tenuto a Milano il 26 e 27 febbraio 2025, abbiamo avuto l’occasione di porre alcune domande a Dirk Hovy, Dean for digital transformation and AI all’Università Bocconi, oltre che ricercatore impegnato nel campo del natural language processing, il campo di studio che sta dietro ai modelli linguistici come GPT o Gemini.
Credo che abbiano un ruolo molto, molto importante: quello di dare alle persone le conoscenze di base, le fondamenta per capire che cosa sta succedendo a livello tecnico, ma anche di dare agli studenti l’opportunità di contestualizzare ciò che accade, di capire quali sono le ramificazioni, le conseguenze che questi cambiamenti tecnologici hanno sulle nostre società, sulle nostre vite, sul nostro lavoro e sui modi in cui studiamo, facciamo ricerca, in cui facciamo ogni cosa. Credo davvero che la scuola e l’università abbiano appena acquisito un ruolo di primo piano in questo nuovo mondo dell’intelligenza artificiale.
L’adeguamento e la sicurezza di questi modelli - cioè far rispettare a questi modelli i nostri valori, il nostro modo di vivere - è uno dei grandi temi del momento nel campo dell’IA e non solo dal punto di vista tecnico. Sì, ci sono soluzioni tecniche, algoritmiche per far fronte ai pregiudizi di tutti questi modelli e abbiamo assistito a molti progressi nel corso degli anni. Come si suol dire, il primo passo è la consapevolezza, poi possiamo agire per contrastare il problema. Abbiamo gli strumenti tecnici per affrontare questi aspetti, ma ci sono domande e problemi più profondi, che stanno alla base: che cosa significa avere un sistema di valori? A chi si riferiscono i sistemi di valori che stiamo modellando? Ci possono essere molte risposte a queste domande e non è sempre facile, anche se lo può sembrare all’inizio, trovarne una buona. Penso che nei prossimi anni assisteremo a grandi progressi in questo settore, e la cosa interessante è che il progresso in questo campo non si limiterà all’area tecnica, in cui certamente persone con competenze matematiche, algoritmiche e di machine learning daranno il loro contributo, ma ci sposteremo in un territorio in cui ci confronteremo con persone che hanno una formazione filosofica e nelle scienze sociali, discipline che hanno ragionato su questi temi per decenni, per secoli, in certi casi per millenni, perché con questi temi arriviamo davvero al cuore di ciò che significa essere umani e interagire tra noi in modo responsabile, giusto e sicuro.
È un’ottima domanda. Il natural language understanding, tecnicamente parlando, è una branca del natural language processing, ma cosa significa davvero “capire”? Certo, se una persona ha studiato una lingua alle superiori può “capire” quella lingua, può andare in un paese in cui si parla, discutere con le persone e sapere cosa vogliono dire. Ma c’è molto di più nel capire davvero qualcuno. Dobbiamo imparare a leggere i piccoli segnali. Chi dice qualcosa e quando è importante almeno quanto quello che dice. In altre parole, non si tratta solo di parole, si tratta davvero di tutto ciò che c’è intorno. Per esempio, se qualcuno dice “è stato pazzesco” (“that was sick”), fa una grande differenza se a dirlo è una persona di sedici anni in uno skate park o una di ottantasei che è appena uscito dal Teatro alla Scala. Stesse parole, significati molto diversi. Il linguaggio è qualcosa di più che una combinazione delle singole parole. Su questi temi la filosofia ha lavorato parecchio, per esempio Ludwig Wittgenstein che ha definito il linguaggio “più di un gioco” e che ha anche detto che anche se un leone potesse imparare a parlare non saremmo comunque in grado di capirlo. Non a causa delle parole, ma perché la nostra esperienza del mondo è così diversa da quella del leone che non saremmo in grado di afferrare ciò che il leone sta cercando di dirci. Quindi, ancora una volta, non si tratta solo delle parole, ma letteralmente di tutto il resto. Per questo non dovremmo trattare il linguaggio come un problema ben definito, rinchiuso in una piccola scatola, dobbiamo trattarlo come un aspetto di ciò che significa essere umani e penso che se riusciamo ad affrontarlo in questo modo e a leggere tutti i piccoli segnali, allora potremmo avvicinarci alla vera comprensione.
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