Dai big data all'open innovation, per un ecosistema collaborativo

Zettabytes di dati sono prodotti a ciclo continuo nelle nostre società digitali, ma tra le foto delle vacanze dimenticate sul cloud e gli open data delle pubbliche amministrazione la differenza di uso delle informazioni conservate nei data center può essere molto grande.

Lunedì 14 Aprile 2025
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“I dati sono il nuovo petrolio” è una frase che è stata ripetuta molto spesso negli ultimi anni, in cui i dispositivi mobili si sono diffusi sempre di più e sempre più aspetti della nostra vita quotidiana sono diventati digitali. 

Siamo nell’era dello zettabyte, iniziata intorno alla metà degli anni dieci del ventunesimo secolo e si stima che nel 2025 verranno prodotti circa 180 zettabytes di dati. Per avere un’idea - seppur vaga - della quantità, basta pensare che uno zettabyte è equivalente a 1021 byte, cioè un 1 seguito da 21 zeri. Nel 2010, a confronto, erano stati creati 2 zettabyte di dati. Sempre più dati significa anche sempre più data center, con i conseguenti costi energetici e ambientali.

Ma cosa sono questi dati? Quali informazioni contengono? La prima risposta che viene in mente è: tutto. Dalle foto delle vacanze di miliardi di persone fino ai loro dati medici, da documenti aziendali dimenticati alle statistiche sulla popolazione, dalle tracce che lasciamo con i nostri comportamenti online agli articoli dei ricercatori e alle fake news sui social media… 

Anzitutto, non dobbiamo dimenticare che i dati non sono strumenti neutri: come ricordava Donata Columbro sul palco del WMF 2024, i dati sono costrutti sociali e riflettono i pregiudizi e i contesti in cui sono raccolti, influenzando le nostre narrazioni della realtà.

Inoltre c’è chi, come Gerry McGovern, sostiene che il 90% dei dati conservati negli innumerevoli data center sparsi per il globo siano sostanzialmente spazzatura: file dimenticati che non servono più a nessuno e a cui nessuno accederà più in futuro. Forse nei prossimi anni riusciremo a creare un’ecologia dei dati, per razionalizzarne produzione e stoccaggio? Difficile fare previsioni, viste le tendenze attuali.

Di certo, però, non tutti i dati hanno la stessa rilevanza: è probabile che possiamo tranquillamente dimenticarci delle foto scattate dieci anni fa e archiviate su un cloud a cui forse non abbiamo nemmeno più accesso, così come delle presentazione PowerPoint fatta per quel corso universitario ormai dimenticato.

Ma i dati possono davvero essere una risorsa preziosa: per esempio, le informazioni sulle nostre preferenze e sulle nostre abitudini hanno un valore molto alto per le aziende, perché con queste informazioni possono costruire e mantenere un dialogo con le persone interessate ai loro prodotti.

Ci sono poi i dati aperti delle pubbliche amministrazioni che, fortunatamente, sono sempre più disponibili. Si tratta di dati utili per la creazione di politiche innovative che rispondano alle esigenze dei territori e delle comunità ma anche per approfondire l’analisi di aspetti economici, ambientali, sociali…

La tendenze all’apertura dei dati sembra anche, almeno in parte, toccare il mondo delle aziende e dell’innovazione, in una visione che vuole essere più orientata verso la collaborazione che verso la competizione. Il tema dell’open innovation sarà anche al centro di un evento dedicato al WMF - We Make Future 2025, il VC & Open Innovation Fest, che ha l’obiettivo di costruire un ecosistema collaborativo per aumentare l'impatto positivo dei progetti innovativi sulla società e sull’ambiente.


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